Non ci sono molte indicazioni per raggiungere il più importante Sito archeologico della Sicilia . I pochi cartelli sono poco visibili ed è necessario chiedere aiuto agli abitanti del posto.
Il sito è poco pubblicizzato anche da parte dell’Amministrazione Comunale di Acquedolci. Nessuna promozione da parte del competente Assessorato Regionale ai BB.CC. . Una volta arrivati ci rendiamo subito conto che il sito versa in un preoccupante stato di abbandono . L’attuale degrado dimostra il disinteresse della Regione Sicilia ma anche dello stesso Comune di Acquedolci.
Nonostante la tempestiva e garbata accoglienza da parte del personale di custodia, ci rendiamo subito conto che raggiungere la Grotta per molti turisti potrebbe rappresentare una vera e propria odissea. Il percorso per arrivare la Grotta è piuttosto accidentato, quindi rischioso per i visitatori .Il sito è preda di erbacce e incuria . Non è consigliabile visitare il sito nelle ore più calde data la scarsità di zone d ombra. Nessun servizio di ristoro o bar.
Bagni neanche l’ombra !
Le tavole e i passamano in legno ormai fradicio SONO PERICOLOSISSIME!
Questa passerella in legno non è sicura . Per la gioia di molti…. stavo cascando dentro una tomba!
I lavoratori in servizio ( 15 unità in categoria a e B ) divisi in turni di lavoro h12 , oltre ad assicurare i servizi di fruizione custodia e vigilanza, svolgono piccoli lavori di manutenzione , assicurano le pulizie dei locali , svolgono lavori di scerbatura solo lungo il percorso .Il personale di custodia con i pochi mezzi a disposizione E A PROPRIE SPESE fa quello che può . Sono costretti a comprare il materiale per le pulizie ordinarie, perfino a fare le fotocopie per i fogli firma. Non hanno in dotazione un computer , privi di collegamento internet .
Per rendere il sito accogliente hanno pulito un capannone ( al’interno non si respira a causa dell’alta temperatura ) e lo hanno adibito per l’esposizione dei fossili .
E’ IL SEGNO TANGIBILE DELL’IMPEGNO DEI LAVORATORI CHE PROVANO RABBIA E FRUSTRAZIONE PER UNA CLASSE POLITICA E UNA BUROCRAZIA INACCETTABILE.
SEGNALIAMO CHE IL DIPARTIMENTO BB.CC. DAL PUNTO DI VISTA GESTIONALE E’ IL PEGGIORE
ADESSO UN PO’ DI STORIA PER DIMOSTRARE L’IMPORTANZA DI QUESTO SITO .
La grotta di San Teodoro, perfettamente visitabile, si trova a pochi passi dal centro abitato di Acquedolci, paese che si affaccia sul mar Tirreno e antica frazione del centro di San Fratello.
La grotta si trova ad un’altitudine di circa 140 metri sul livello del mare su Pizzo Castellaro, che fa parte del monte San Fratello, a circa due chilometri dal centro abitato.
L’apertura rocciosa sembra si sia formata tra i gli otto e i dieci milioni di anni fa ed è uno dei siti più importanti di Sicilia per quanto riguarda la documentazione dell’uomo preistorico e degli animali, molti dei quali ormai estinti, che popolavano l’Isola in quel periodo.
La grotta di San Teodoro è diventata particolarmente importante grazie al ritrovamento di Thea, ovvero il primo scheletro umano ritrovato in Sicilia.
Oggi lo scheletro di questa donna di circa trent’anni ed alta 1,55 m è conservato all’interno del museo Gemmellaro di Palermo. Di lei è stato anche riprodotto un ipotetico volto che ne racconta la fisionomia. La grotta fu infatti abitata dall’uomo nel Paleolitico superiore
. Il volto di Thea
PERCHE’ NON RIPORTIAMO THEA A MESSINA?
da http://paleoitalia.org/
La grotta di San Teodoro è una pietra miliare per la paleontologia e la preistoria della Sicilia, anche per il prestigio dei ricercatori che per primi vi hanno condotto ricerche. Fin dalla seconda metà dell’ottocento furono individuate un’unità superiore, contenente resti di pasto e numerosissimi manufatti litici epigravettiani, e una unità inferiore con resti di mammiferi endemici pleistocenici. Ancora maggior interesse è stato suscitato dal ritrovamento in tempi più recenti di ciò che resta di sette sepolture risalenti al Paleolitico superiore.
La grotta, molto suggestiva anche per le sue notevoli dimensioni, si apre su una scarpata modellata su calcari giurassici che delimita un ampio terrazzo tardopleistocnico al cui margine interno, alla base della parete carbonatica, si estende un deposito lacustre pleistocenico caratterizzato da resti di ippopotamo. Nell’area di Acquedolci sono state rinvenute diverse associazioni faunistiche che complessivamente rappresentano tre fasi della preistoria siciliana collocabili tra 200 mila e 11 mila anni fa, e attraverso le quali si sono succedute diverse condizioni ambientali.
I depositi con ippopotami
Lo scavo di sette trincee di profondità, variabile da pochi decimetri fino a 6 metri, ha consentito il recupero di numerosi resti di ippopotamo, alcuni dei quali ancora visibili in posto. I sedimenti sono prevalentemente siltosi e contengono in prossimità della scarpata detriti anche grossolani provenienti dalla parete rocciosa. I resti fossili estratti a migliaia e oggi custoditi presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Messina, sono in massima parte elementi scheletrici dell’ippopotamo endemico siciliano Hippopotamus pentlandi. Gli individui d’ippopotamo, rappresentanti tutto l’arco dello sviluppo ontogenetico della specie, sono accompagnati da scarsi resti di orso, cervo, lupo, tartaruga e uccelli. Lo studio dei resti suggerisce l’antica presenza di un bacino lacustre e che probabilmente si estendeva verso nord sull’ampio terrazzo. Migliaia di resti di ippopotamo sono custoditi presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Messina. Gli scavi di Acquedolci hanno chiarito che i numerosi depositi a ippopotamo presenti in Sicilia alla base di pareti carbonatiche sulle quali si aprono grotte fossilifere non si sono originati per svuotamento delle grotte, ma per l’esistenza di falde acquifere e di bacini alla base dei massicci carbonatici. L’unico dato cronologico finora disponibile per gli ippopotami di Acquedolci proviene da una datazione geochimica che ha fornito un’età di 200.000 ± 40.000 anni dal presente.
I recenti scavi nella grotta Il suolo della grotta non conserva resti del Paleolitico superiore e gli scavi recenti hanno testimoniato solo l’unità più antica. Sono state scavate due trincee per un totale di circa 30 m3, una porzione molto piccola rispetto al volume dei sedimenti fossiliferi presenti. I caratteri della ricca associazione faunistica sono originali e inediti per un ambiente insulare. In ambedue le trincee sono stati rinvenuti resti del cervo Cervus elaphus siciliae, del bue selvatico Bos primigenius siciliae, del bisonte Bison priscus siciliae, del cinghiale Sus scrofa, dell’elefante un tempo attribuito alla specie Palaeoloxodon mnaidriensis, dell’asino selvatico Equus hydruntinus, la iena _Crocuta crocuta spelaea, del lupo Canis lupus, e la volpe Vulpes vulpes. Dalla setacciatura e cernita dei sedimenti sono stati estratti resti di roditori, che comprendono arvicola (Terricola ex gr. savii) e topo selvatico (Apodemus sylvaticus), e uccelli, tra i quali falco (Falco columbarius, F. tinnunculus), coturnice (Alectoris graeca), un galliforme attualmente rappresentato in Sicilia dalla sottospecie endemica Alectoris graeca whitakeri, quaglia (Coturnix coturnix), colomba (Colomba livia, C. oenas), beccaccia (Scolopax rusticola). Sono inoltre presenti resti di riccio (Erinaceus europaeus), di insettivori (Crocidura sicula), di pipistrello, di lucertola, molluschi terrestri e semi. La datazione di un livello di concrezione con il metodo 230Th/234U ha fornito un’età di 32.000 ± 4.000 dal presente, coerente con i dati stratigrafici e paleoecologici.
La varietà di taxa riconosciuti nella grotta di San Teodoro, riconosciuta grazie alla scrupolosa raccolta di resti, permettono di ipotizzare trattarsi di una tana di iena e la prima segnalazione di un tale contesto in ambiente insulare. La scrupolosa raccolta dei resti di piccoli mammiferi e molluschi nei depositi di provenienza dei resti dei grandi mammiferi e la dettagliata ricostruzione stratigrafica hanno permesso di ipotizzare uno dei primi esempi in Europa per questo tipo di ambiente. Gli elefanti di San Teodoro sono probabilmente gli ultimi sopravvissuti in Europa occidentale.